Belfast e Dublino due facce della stessa isola,ma completamente diversi.

Belfast dove i negozi chiudono alle sei e Dublino dove gli artisti di strada strimpellano qualche nota rock.

Belfast e Dublino la cui unica uguaglianza è il tempo caratterizzato da nuvole basse e veloci.

Scrivete qua i vostri racconti su Belfast o Dublino.

Belfast e Dublino due facce della stessa isola.  

9 Commenti a “Belfast o Dublino?”

  • ▒ℒąŋƇḝ▒ scrive:

    Non è mai troppo presto….per amare.

    Tutto cominciò una calda giornata primaverile a Phoenix Park davanti al grande obelisco.
    In quella mattina il sole splendeva e irradiava quasi tutto il parco, ma tutte le persone si rifugiavano sotto gli alberi nel punto in cui c’era un po’ d’ombra.
    Sotto le grandi chiome appena germogliate era seduta una ragazza timida, dolce e impacciata il cui nome era Martina; lei stava facendo una piccola pausa perchè dopo doveva ricominciare a fare jogging.
    Nel frattempo fra le vie del parco si aggirava correndo un giovine, Lorenzo, il quale non desiderava altro che una bella ragazza lo notasse.
    Martina aveva finito la sua pausa e mentre si stava alzando un ragazzo la travolse, quel ragazzo era Lorenzo che da quando l’aveva vista era rimasto abbagliato dalla sua bellezza; per questo l’aveva travolta.
    I due a terra si scambiarono sguardi ma colti da un grande imbarazzo, si rialzarono e ricominciarono a correre.
    Lorenzo ripensò allo spettacolo con gli occhi marroni che aveva visto e pensò che avrebbe potuto conquistarla, per una cosa era avvantaggiato: l’aveva proprio colpita!
    Intanto Martina era ancora intontita dal colpo che aveva ricevuto e sarà stata la botta o il caldo però pensò che Lorenzo fosse un ragazzo adorabile, atletico e magnetico.
    Lorenzo e Martina ormai si erano persi nella vegetazione, ecco che si apre un’area isolata, senza nessuno, solo un grande obelisco al centro. Fra i cespugli di destra comparve una figura maschile e dai cespugli di sinistra ne comparve una femminile, le due persone si incontrarono in mezzo e si scambiarono uno sguardo imbarazzato e stentato.
    Il ragazzo fermò la ragazza e le domandò:” Non ti sembra che il destino voglia farci stare sempre insieme; allora precediamolo!” la ragazza colta alla sprovvista rispose:” Non so che dire, ci conosciamo da questa mattina. Non è troppo affrettato?”
    -” No, non è mai troppo presto!”
    -” Non so proprio cosa dirti, Lorenzo tu mi piaci ma penso che prima dovremmo conoscerci meglio”
    -” Va bene, anche tu Martina mi piaci e pur di stare con te farei qualunque cosa!”.
    Lorenzo e Martina si presero per mano e uscirono dal parco scomparendo nel traffico mattutino.
    Non molto lontano da Phoenix Park c’era una felice coppietta che ormai non faceva altro che abbracciarsi, ridere e scherzare; quei due si trovavano sulla riva sinistra del fiume Liffey, stavano per girare in O’Connel street, ma all’angolo si sentivano schiamazzi e urla: era la “coppia” che stava litigando.
    Martina accusava Lorenzo di ammirare tutte le ragazze che passavano.
    La ragazza se ne andò via correndo, lasciando cadere le lacrime per terra, a questo punto anche Lorenzo scoppiò in un pianto malinconico perchè l’unica ragazza che l’avesse notato lo aveva lasciato per un motivo che neanche aveva potuto chiarire.
    Il ragazzo continuò a chiamarla al telefono ma lei non rispondeva. Lorenzo si incamminò verso St. Stephen’s Green, il posto in cui abitava Martina.
    Andò sulla riva opposta del Liffey e proseguì in Grafton Street, dopo aver fatto qualche metro in quella via arrivò davanti alla statua di Molly Malone dove seduta ai suoi piedi c’era una ragazza singhiozzante che continuava a piangere.
    Lorenzo le si sedette vicino per chiarire il malinteso. Il ragazzo le disse:” Vuoi sapere perchè guardavo tutte quelle ragazze per strada?” Martina arrabbiata rispose:” Si!”
    -” Perchè pensavo che nessuna ragazza fosse bella come te che nessuna avesse i tuoi occhi marroni da cerbiatto e che nessuna avesse i tuoi capelli biondo-caramellato!” la ragazza fece brillare i suoi occhi da cerbiatto ed esclamò:” Non farlo più!” Lorenzo asciugandosi le lacrime rispose:” Come ti avevo già detto io farei di tutto per te e poi c’è un altra cosa che ti devo dire: io ti amo!”
    -” Davvero mi ami?”
    -” Si, perchè non ho mai incontrato nessuna che mi avesse fatto sognare e subito dopo farmi piangere, adesso vorresti fidanzarti con me?”
    -” Si, mille si perchè ho capito che ti amo anch’io!”.
    Martina e Lorenzo ritornarono sulla riva del fiume, salirono sul ponte del mezzo centesimo e arrivati al punto più altro si baciarono; non fu un insipido bensì fu un bacio intenso che solo i veri innamorati possono darsi.
    Martina e Lorenzo capirono troppo tardi che erano anime gemelle perchè ora non potevano più proseguire la loro storia d’amore da vivi.

  • J.Page scrive:

    Domenica, sanguinosa domenica domenica.
    Era il 30 gennaio 1972, già da ore manifestavo nelle strade di Derry insieme a molti altri, in maggioranza ragazzi sotto i venti anni, per fermare i continui scontri che avvenivano nella mia città, Derry, e a Belfast e soprattutto contro L’UVF che poco più di un mese prima aveva ucciso 15 persone innocenti mettendo una bomba in un pub.
    Ad un tratto sentii il rombo di motori provenire dal fondo della strada dietro di me, giratomi vidi delle jeep dell’esercito britannico avvicinarsi molto velocemente, mi si gelò il sangue nelle vene, ero come paralizzato. Intorno a me tutti i miei compagni manifestanti lanciarono via cartelli e striscioni e iniziarono a correre ai lati delle strade per salvarsi, io però rimasi fermo con gli occhi spalancati a guardare ciò che stava accadendo,: una marea di persone correva da tutte le parti tentando di mettersi in salvo. Intanto le jeep si avvicinavano a velocità sempre crescente e durante la loro corsa le vidi travolgere due persone che non riuscirono a mettersi in salvo, fu lì che mi ripresi e con un balzo raggiunsi il marciapiede, salvandomi da una morte sicura. Atterrai malamente sull’asfalto ammaccato ma illeso; rialzatomi iniziai a chiedermi come mai delle jeep dell’esercito avessero cercato di travolgere dei civili che manifestavano pacificamente.
    Non feci in tempo a darmi una risposta che le jeep si fermarono e ne uscirono dei soldati armati di fucile che presero a sparare sulla folla terrorizzata, alcuni caddero sotto i colpi di fucile altri riuscirono ad infilarsi in qualche viuzza laterale, i soldati però seguirono alcuni di loro per ucciderli.
    Io orripilato osservai l’intera scena da dietro ad un cassonetto, c’era tanto fumo e sentivo fischiare le pallottole intorno a me, in terra giacevano molti corpi senza vita, quasi tutti ragazzi disarmati che erano stati brutalmente assassinati dall’esercito che avrebbe dovuto proteggerli. Tutti erano scesi in piazza per bloccare il fiume di sangue che scorreva in tutta l’Irlanda del Nord non per farlo straripare.
    La manifestazione pacifica era diventata una strage, i soldati continuavano a sparare sui ragazzi che cercavano di fuggire, colpendoli alle spalle.
    Non capivo più nulla ero stordito dagli spari, mi era acquattato i un angolo con gli occhi chiusi e le mani a coprire le orecchie aspettando la fine di quell’inferno.

    Abbastanza bene il contenuto ma avresti potuto inserire la descrizione di alcune vie o luoghi a partire da quello che abbiamo visto e dal sito che vi ho indicato.

  • $[dj_ BrIk]$ scrive:

    Joice’s Statue
    Il mio telefono squillò e così decisi di rispondere nonostante l’ora fosse tarda.
    Era il commissario Boltis che mi commissionò un caso, un omicidio.
    Io feci per chiedere dove fosse avvenuto l’omicidio, ma probabilmente Boltis aveva capito e pronunciò solo le parole Joice’s Statue.
    Feci per alzarmi quando fui rapito dal chiarore della notte che mi sottrasse dalla realtà per circa dieci secondi.
    I pantaloni la maglietta la cintura quasi non mi sembrava la realtà svolgere quelle azioni a quell’ora.
    Mi recai alla statua di Joice e li vidi steso a terra un corpo con un foro di pistola alla nuca dal quale una striscia di sangue lugubre scuro colorava il viso della vittima.
    La scientifica arrivò e dopo aver scattato qualche foto e raccolto qualche campione si portò via il corpo.
    Senza indizi e testimoni ma soprattutto senza una via da seguire me ne andai a casa dovrei aspettato di sapere qualche dato della vittima per incominciare a fare le indagini.
    Il giorno dopo la telefonata del distretto arrivò e cominciai a fare ricerche sulla vittima.
    Il rumore del processore del pc che si accendeva fu sovrastato dalla suoneria del telefonino.
    Risposi e la notizia non fu delle migliori: un’altra vittima questa volta al trinity College .
    Mi recai al Trinity Collegge e in mezzo alla giardino ritrovai la stessa situazione del giorno prima.
    Buco in testa e sangue addosso e in seguito nessun collegamento possibile con delitti ad un haliby.
    Evidentemente, pensai, doveva esserci un serial killer a Dublino che uccideva per il gusto di farlo.
    Passarono tre giorni per i quali non dormii più di sei ore ed ero veramente stanco e teso, così decisi di visitare un po’ la città visto che abitavo a Dublino solo da quattro mesi e ancora non conoscevo la città.
    Mi avviai ad una stazione dei tour autobus sul quale poi mi addormentai, stremato dall’insonnia.
    Arrivati alla fermata in piazza Joice fui svegliato dalle grida di diverse persone e li vidi un uomo uccidere qualcuno, era il serial killer!
    Stesso metodo di uccisione e poi fuga , vittima a caso ma questa volta si era fatto vedere.
    L’uomo prese ad arrampicarsi sopra allo spire il monumento di fianco alla statua di Joice ma nela sua arrampicata cadde al suolo, rompendosi il cranio con un rumore che non oso nemmeno ricordare da quanto fu atroce.
    Quando quel viso toccò terra mi fu possibile constatare che non mi era sconosciuto.
    Quel volto lo avevo visto tra i ricercati del manicomio e adesso spiegata questa sete di sangue.

    Bene il contenuto, ma attenzione a come si scrive “lì” , non li

  • αngi scrive:

    Tutto è iniziato da qui, Belfast, città che tutti conoscono per i negozi, ma che io ho visto diversamente, ma non esteticamente, ho cercato di raccogliere ogni singolo ricordo vissuto lì, infatti è stato proprio in quella cittadina che ho incontrato il mio unico e vero amore.
    Dopo la scuola, mi ero concessa un po’ di libertà assieme a Stefania, la mia migliore amica, per andare in giro per negozi e divertirci facendo un po’ di giri sulla ruota panoramica al 10 di Donegall Square.
    Il tempo non era uno dei migliori, come sempre c’erano dei nuvoloni neri che impedivano al sole di uscire e riscaldare un po’ Belfast.
    Quello che ti saltava all’occhio erano le luci dei semafori e i lampioni, stava per piovere me lo sentivo, perché si cominciava a sentire quell’odore di asfalto bagnato.
    A Stefania però non importava, così dopo aver fatto compere salimmo sulla ruota panoramica e cominciammo il giro.
    – Ei guarda, quel ragazzo ti continua a fissare! Esclamò Stefania.
    Mi voltai di scatto e vidi che nella ……. A qualche metro da noi mi stava fissando, all’improvviso divenni tutta rossa e il mio stomaco cominciò a darmi quel fastidio piacevole, come se fosse un solletico.
    Cominciò a piovere così il proprietario della giostra fece scendere tutti. Scese dalla giostra cominciai a correre con Stefania dietro di me che sbraitava e mi ordinava di tornare indietro.
    E appena mi fermai, ecco Stefania subito dietro di me, inzuppata dalla testa ai piedi.
    – “Ma si può sapere che ti è preso?” Mi urlò alterata.
    – “Sta piovendo. Così ho corso per non bagnarmi del tutto.” Replicai.
    Ma la mia scusa non funzionava molto e lo capii anche io, perché ero tutta bagnata e continuavo a gocciolare sull’asfalto asciutto, grazie al Bar.
    Stefania mi studiava con il suo sguardo agghiacciante , aveva già capito che stavo mentendo, quindi “ Sputai il rospo”.
    – “ Ok, ok il fatto è che ho avuto un attacco di panico, non volevo rischiare di essere invitata da quel ragazzo.” Confessai, balbettando.
    Il suo sguardo da agghiacciante passò a divenne stupefatto, ero già pronta alle sue risate che da un momento all’altro avrebbero messo K.O. i miei timpani.
    Invece rimase zitta ed entrò nel Bar, la seguii e gli le offrii un cappuccino con cornetto, per scaldarci e poter discutere su questa faccenda.
    Ma appena mi sedetti eccolo, il ragazzo che continuava a fissarmi, ecco di nuovo quella sensazione di vuoto e quel solletico piacevole.
    Si voltò verso di me e mi sorrise, il suo sorriso provocò al mio cuore un battito continuo e veloce, più veloce di una batteria ad un concerto, più veloce di un picchio quando batte sul tronco duro dell’albero.
    Il ragazzo si stava avvicinando sempre di più al nostro tavolo, più i metri che ci separavano diminuivano più il mio cuore batteva e più il mio cuore batteva più quella sensazione piacevole aumentava.
    Scappai, si esatto, scappai come una codarda sotto la pioggia, al posto di stare al calduccio e godermi quel panorama meraviglioso, quel ragazzo aveva qualcosa di speciale, era biondo con occhi blu come l’Oceano Atlantico.
    Mi fermai in mezzo alla strada quando pensai a quanto fossi stata stupida a correre via così, però continuai subito a correre e mi fermai su una panchina a riflettere.
    Però al posto di riflettere, piansi, non so per quale motivo, piansi fino a che qualcuno appoggiò la sua mano sulla mia spalla, rendendola calda.
    Non mi voltai, perché ero certa che fosse Stefania e non volevo parlare con lei, però la persona non era lei, perché a parlare fu un maschio, quando sentii la voce maschile ecco di nuovo il formicolio e il battito del mio cuore a mille, era lui ne ero certa al cento per cento.
    Alzai il viso ed ecco quei bellissimi occhi, guardarmi preoccupati, sicuramente pensava che ero pazza, ne ero certa, perché qualsiasi ragazza sarebbe rimasta a civettare con lui fino a che non avrebbe avesse accettato un uscita di uscire, ma io non ero qual tipo di ragazza, però avrei voluto fare come una ragazza normale così magari mi sarei risparmiata la figuraccia.
    – “Ei, tutto ok? Come mai sei scappata così?” Mi chiese con quella sua voce affascinante.
    – “ Ehm, si grazie tutto ok. In teoria non dovevi seguirmi quindi non mi sono preparata una risposta per evitare la figuraccia.” Dissi con una risata.
    Cominciammo a ridere insieme, i nostri occhi si incontrarono per la prima volta e mi persi nei suoi occhi, come se stessi affogando in un mare, ma il mare più limpido e caldo del mondo.
    Mi invitò a prendere una cioccolata e arrivati al bar, lui cominciò a farmi un paio di domande:
    – “ Allora, come si chiama questa bella ragazza infreddolita?” Disse con un sorriso dolce sulle labbra.
    – “ Questa ragazza infreddolita, si chiama Angelica. E questo scherzoso ragazzo come si chiama?” Dissi stando al gioco.
    – “ Mi chiamo Connor.” Rispose.
    Ci fu un momento di silenzio imbarazzante per tutti e due credo perché nessuno aveva il coraggio di parlare.
    Ok che gli dico adesso? Non posso farmelo scappare proprio adesso, continuavo a ripetermi in testa.
    – “ Posso chiederti una cosa?” Dissi imbarazzata e tutta rossa.
    – “ Si, dimmi” Disse con entusiasmo.
    – “ Perché sulla ruota panoramica, mi continuavi a fissare e quando sono scappata dal Bar mi hai seguita?” Ecco il formicolio farsi più forte , non so quanto tempo mancava al mio cuore, prima di scoppiare, perché cominciò a battere fortissimo, così forte che avevo paura che anche Connor lo sentisse.
    – “ Ti fissavo, perché sei una bella ragazza e mi piaceva guardarti, poi ho visto il tuo sorriso e ho notato lo spazio tra i denti e mi sono incuriosito, sei la prima ragazza che vedo senza sorriso perfetto qui a Belfast, volevo conoscerti e vedere se eri diversa anche dal carattere di tutte le ragazze che ho conosciuto, ho pensato che tu avessi qualcosa di speciale.” Si fermò e arrossì, io ero già tutta rossa immobile sulla sedia, da quando aveva toccato l’argomento dei miei denti, perché di solito mi prendono in giro per questo invece lui no.
    – “ Poi ti ho inseguita proprio perché non volevo lasciarti andare, ho voglia di conoscerti meglio e sapere chi è davvero Angelica, per favore dammi una possibilità!”
    Ero immobile, era come se fossi rimasta attaccata alla sedia, wow voleva conoscermi e sapere tutto su di me, frequentarmi, forse mia mamma aveva ragione, trasferirmi in Irlanda era la cosa giusta per superare la morte di papà e la rottura con Cosimo e trovare nuovi amici e magari un ragazzo che mi facesse dimenticare il mio ex.
    Magari era proprio Connor quello giusto, ero immersa nei miei pensieri e solo dopo mi accorsi che Connor mi stava guardando con occhi imploranti per sapere se gli avrei dato si o no una possibilità, ci pensai un attimo però la mia bocca si aprì da sola e cominciai a balbettare la mia risposta.
    – “ S-s-si, perché no.” Tutto qui? Allora stavo esplodendo dalla felicità dentro di me e l’unica cosa che sono riuscita a dire è stato solo “ Perché no?”
    – “ O-o-ora devo andare.” Dissi mentre mi alzavo dal tavolo del Bar.
    – “ Aspetta, mi potresti dare il tuo numero? Così possiamo rimanere in contatto.” Disse lui.
    Gli presi il cellulare dalle mani e digitai il mio numero salvandoglielo sotto il nome “ La ragazza infreddolita” e scappai via sotto la pioggia irlandese, con un sorriso sulle labbra.
    Arrivata a casa mi feci una doccia e mandai un messaggio a Stefania scusandomi per averla lasciata da sola al Bar e raccontandogli in poche parole cos’era successo.
    Andai a letto, ma verso mezza notte mi arrivò un messaggio:
    “ Ei, Ragazza infreddolita, buona notte.”

    :- La storia fila non c’è dubbio; manca un po’ di ambientazione che potevi creare utilizzando le informazioni emerse in classe o che trovi anche sul blog.

  • Gigia scrive:

    Belfast: Oltre il muro

    Avevo solo sei anni e le uniche parole, che avevano continuato a ripetermi i miei genitori, erano di quanto i protestanti fossero maligni e meschini con tutti, continuandomi a ripetere di starci alla larga, una cosa però non facile se gli guardavi a prima vista, dovevi infatti, osservare alcuni particolari, prima di capire se fossero cattolici o no.
    Non mi era ancora mai capitato di conoscere dei protestanti, perché dove abitavo, le persone erano solo cattoliche, infatti, i protestanti si trovavano al di là del muro, tra casa mia e la loro.
    Non avevo mai avuto neanche il coraggio di affacciarmi sopra il muro per paura che mi vedessero e mi facessero qualcosa.
    Un giorno però, stavo giocando con dei miei amici, quando, la palla finì dall’altra parte del muro, ci fermammo di botto, nessuno aveva il coraggio di fare un passo, avevamo il fiatone e il cuore ci batteva forte, a chi sarebbe toccato scavalcare il muro per andare a riprendere la palla?
    Così, dato che nessuno aveva il coraggio di farsi avanti decidemmo di fare la conta, il primo che fosse uscito sarebbe andato a riprendere la palla, quindi, ci mettemmo tutti in cerchio con le gambe tremanti e iniziammo a contare fino a dieci:” 1,2,3…” ci fermammo un attimo ansiosi e allo stesso tempo impauriti di sapere a chi sarebbe toccato, poi ricominciammo:”4,5,6,7,8,9…10!!” il mio cuore fece un balzo, era toccato a me, respirai a fondo e poi, singhiozzando mi diressi verso il muro.
    Con l’aiuto dei miei amici riuscii a salire, mi aspettavo di tutto, ma non quello che vidi, infatti, dall’altra parte del muro, tutto era uguale alla mia, le case erano identiche: basse, con un piccolo giardino davanti e anche lì, per strada giocavano dei bambini, mi misi ad osservarli, stavano giocando a “un due tre stella” quando si accorsero di me, anche loro si fermarono di botto, solo una bambina, prese il coraggio e mi venne incontro, aveva dei capelli cortissimi, gli occhi di un azzurro cielo e un sorriso bellissimo ed è sempre che sorridendo, mi chiese come mi chiamassi e così iniziammo per un po’ a chiacchierare, mentre, sia dalla mia parte che dalla sua i nostri amici ci fissavano stupefatti.
    Parlammo di qualsiasi cosa, fin che il sole non oscurò tutto intorno a noi, costringendoci a salutarci .
    Quando andai a dormire quella sera, avevo un milione di domande in testa, a cui non riuscivo a dare una risposta, non capivo come quella bambina, come mi aveva ripetuto miliardi di volte mia madre, potesse essere cattiva, quando con me era stata così gentile e amichevole, e sempre pensando alla bambina mi addormentai, sperando di poterla rivedere il giorno dopo.

  • ⓛⓞⓥⓔM@Rg¥εïз scrive:

    Dublino, la città dei miracoli.

    Penny’s, Carrol’s, Cara Craft, Lady Fit Hood, tutti negozi che prima di venire in Irlanda, a Dublino non avevo mai sentito nominare. Si trovavano tutti sulla via principale, O’Connell Street. Camminavo guardandomi attorno senza nessun pensiero per la testa, guardavo i palazzi, le persone, com’erano esteriormente, ma anche com’erano vestite, certe con il kilt e altre vestite tutte in verde con la scritta Irlanda sul viso, in onore della partita di rugby Scozia-Irlanda che si sarebbe tenuta la sera stessa. Le case erano completamente diverse da quelle che ero abituata a vedere, tutte colorate, piene di gioia, emanavano una sensazione di tranquillità, ma allo stesso tempo di una vita frenetica.
    Mi ritrovai davanti all’ago del Millennio, una costruzione alta 125 metri che illustrava il design del 2000, un design completamente differente dagli altri.
    Restai un po’ di tempo assolto nei miei pensieri a fissare l’imponente costruzione, a farmi domande su come fosse stato eretto e portato nel centro della via, dei piccoli misteri che avrei potuto risolvere solo con delle informazioni di una guida esperta. Mi voltai e con mio grande stupore mi ritrovai davanti la statua di Joyce, quella persona di cui avevo tanto sentito parlare quando ero ragazzino, di quando non capivo ancora la vera importanza della lettura e di come ci si facesse una cultura. Era lì, in piedi con le gambe incrociate e il bastone fra le mani, in una posizione rilassata, ma allo stesso tempo con uno sguardo pensieroso, in cerca di qualcosa, forse un ispirazione. Lo ritenevo un grand uomo, come si può scrivere cinquecento erotti pagine che raccontano solo di un giorno? Lo sapeva e poteva fare solo lui.
    Continuai il mio cammino e arrivai sul ponte, proprio al centro, la vista era magnifica, si potevano vedere in fila, che proseguivano l’uno dietro all’altro, gli altri ponti, incluso quello del mezzo centesimo.
    Mentre percorrevo il mio percorso senza una meta, mi guardavo attorno, ma la mia vista questa volta non si fermò sui palazzi o i negozi, ma soprattutto sulle persone, non le persone che passeggiavano e chiacchieravano fra loro, ma le persone sedute per terra, quelle che chiedevano elemosina, o quelle che davano spettacolo di sé stessi davanti a tutti, cantando, suonando oppure ballando, nel cercare di racimolare qualcosa. In un certo senso mi ricordavano me, qualche anno fa, anche io avevo la loro stessa passione, la musica. Mi ricordo che andavo in mezzo alla strada a far sentire a tutti di quello che ero capace, di quanta passione ci mettessi nel suonare la chitarra, ma senza risultati, la maggior parte delle volte venivo ignorato e preso in giro, una volta addirittura un gruppo di ragazzini più giovani di me mi lanciarono dei sassi, rompendomi la chitarra, non potendomela pagare e non potendo chiedere soldi in prestito ai miei genitori perché erano contrari che io suonassi, lascia perdere con questa inutile passione e mi dedicai allo studio, come volevano mio padre e mia madre, ma io di questa scelta non ne sono mai stato così tanto sicuro e non ne sono ancora sicuro ora, ma oramai è troppo tardi per tornare indietro, bisogna guardare avanti e lasciarsi alle spalle il passato.
    Mi diressi verso Temple Bar la zona più bella di Dublino, o almeno così mi avevano detto, dove c’era l’Hard Rock Cafe. Entrai, tanto per dare un’occhiata, ma non comprai niente, anche perché le cifre erano sopra ogni mio limite. Dovevo comprare dei souvenir per la mia famiglia, perché me li avevano chiesti, ma se devo essere sincero, ne avrei fatto molto volentieri a meno.
    Continuai la mia passeggiata in Temple Bar fino a quando non arrivai al pub, quello che dava il nome al posto nel quale entrai e dove mi presi una birra, non una birra qualunque, ma la Guinness. Il bancone rispetto a tutto il resto del locale era illuminato da una luce che quasi abbagliava, per illuminare i prodotti che il locale offriva, principalmente tutti alcolici, dal Jack Daniel’s alla Vodka.
    Bevendo la Guinness pensai a come venisse prodotta e mi venne in mente il giro che avevo fatto nella fabbrica il giorno precedente. Solamente quattro semplici prodotti danno quel gusto magnifico e delicato alla birra: l’orzo, il luppolo, l’acqua e il lievito.
    Rimasi a sorseggiare la mia amara birra per un po’ di tempo assolto nei miei pensieri quando, stufo, mi diressi fuori, per continuare il mio giro. Temple Bar è il quartiere principale dove gli artisti di strada si esprimono, suonando il rock, il blues e ogni altro genere di musica. Ero felice, contento nel vedere anche ragazzini di quattordici anni suonare e far vedere la propria passione, tanto che, mi misi ad ascoltare un ragazzo dall’apparenza dal cuore doro, calmo, gentile ed altruista, una persone che di certo non avrebbe mai fatto del male a qualcuno. Le note, gli accordi che provenivano dalla sua chitarra sembravano quelli di un uomo adulto, un esperto, una rock star, erano perfetti senza nessuna vibrazione di sottofondo, gli venivano con una tale facilità che non guardava mai la chitarra, ma guardava il poco pubblico che lo osservava stupito. Non era bravo, era magnifico, lo ammiravo con una tale felicità che gli regalai dieci euro, per la sua bravura e magnificenza, non avevo mai visto un ragazzo così, suonare così bene e mi misi a pensare, a riflettere; quando suonava rideva era contento, non era contento per i soldi che aveva guadagnato, ma era felice perché portava avanti il suo sogno, niente e nessuno lo potevano fermare, la voglia di suonare e la sua passione superavano ogni confine e abbattevano ogni difficoltà, andando avanti sempre e soltanto avanti. Quel ragazzino con la sua musica arrivò dritto al mio cuore tanto da aprirmelo e farmi ragionare, ragionare su quello che avevo lasciato, per colpa di un gruppo di sciocchi ragazzini, per colpa loro il mio sogno si era infranto, ma perché mai decisi di lasciarlo? Ho lasciato per paura ecco la verità, non avevo il coraggio di rialzarmi dopo la prima sconfitta tanto da lasciar perdere tutto e dedicarmi ad altro. No e poi no, dovevo suonare, doveva essere questo il mio futuro e lo sarà.

  • Wr3nT scrive:

    Homicide in Dublin.

    Era una notte nebbiosa e fredda e il TempleBar stava quasi chiudendo.
    C’era solo il signor Wendy, che beveva, beveva e non si fermava più mentre pensava agli errori commessi con sua moglie.
    Tutte le volte che l’aveva picchiata, maltrattata, non se ne capacitava, non riusciva a dimenticarsi quei terribili momenti.
    Era nel salotto dell’entrata, lui si sedeva sempre lì perchè gli regalava un’atmosfera di solitudine, che svaniva ogni volta che entravano nuovi clienti.
    Era un’uomo solitario, amava stare da solo e allo stesso tempo anche molto violento.
    Tutti lo classificavano come un tipo da evitare, pericoloso per i suoi precedenti che ormai tutti in città conoscevano.
    Era uno spacciatore, adesso era uscito da quel brutto giro, era riuscito ad aprire gli occhi alla verità capendo che stava facendo del male a tanta gente.
    Però il suo peccato principale che non riusciva a togliersi era quello della violenza nei confronti di sua moglie e dei suoi figli, ormai adulti scappati di casa tempo prima.
    Quel giorno stava ragionando sul perchè di quelle azioni e pensava se si potesse andare avanti così quando senti’ il rombo di una macchina arrivare.
    La porta si spalancò ed entrò un’uomo mascherato che impugnava una mitraglietta.
    Vide subito il signor Wendy e fece fuoco fino all’esaurimento dei colpi.
    Tutti rimasero immobili fino a quando non si risentii lo sgommare della macchina che si allontanava nella notte pesta.
    Il signor Rogger, il proprietario del pub, rimasto scioccato dell’accaduto chiamò immediatamente la polizia che non tardò ad arrivare.
    Subito un’agente fece irruzione nel pub e rimase sconvolto nell’oscena visuale e della quantità immensa di bossoli sul pavimento e di quel luogo buio illuminato da una piccola luce nel corridoio principale che portava ai giardini.
    Subito dopo arrivò la polizia scientifica che portò il cadavere all’obitorio.
    Il comandante Maggy diede il controllo della situazione al sottoufficiale Rick mentre lui andava ad avvisare la famiglia della vittima.
    Arrivato davanti al portone della villa immensa aprii una vecchia signora, sulla settantina di anni che indossava una lunga vestaglia che le copriva i piedi.
    Il comandante si accomodò in soggiorno e notò subito la signora un po’ insospettita.
    La informo’ dell’accaduto e la signora scoppiò in un pianto mentre notava dei evidenti ematomi sulla parte superiore del collo.
    Mentre si stava facendo raccontare la convivenza con suo marito entrò un’uomo alto, possente tutto vestito di nero che indossava dei guantoni di pelle e un cappellino con la visiera anch’essa nera.
    Subito si presentò e Maggy non capì subito chi fosse l’uomo ma con il continuo della vicenda riuscì a capire che era l’amante della povera signora.
    Dalle parole aspre e cattive dell’amante nei confronti del signor Wendy, potè capire che l’amante poteva essere un’ indiziato al contrario della moglie che era troppo debole per sorreggere quell’arma.
    Li accompagnò alla centrale dove presero le impronte digitali e li in custodia.
    Il commissario ritornò sulla scena del delitto e capì subito che non era un’assassino esperto perchè aveva lasciato troppi indizi evidenti.
    Dopo l’omicidio l’assassino se ne andò sgommando lasciano evidenti tracce di ruote sull’asfalto.
    Presero il calco dei segni lasciati dalle gomme e mentre lasciavano il luogo del delitto il sottotenente Rick notò un pezzetto di pelle di guanto incastrato in un piccolo chiodo della porta, vicino alla serratura.
    Al commissario Maggy gli venne subito in mente che l’amante aveva su dei guanti dello stesso colore dell’indizio trovato sulla porta e corse subito al commissariato per interrogarlo.
    L’indizio coincideva perfettamente con i guanti dell’amoroso e il risultato del calco delle ruote non tardò ad arrivare, confermando i sospetti.
    L’amante era seduto nella stanza degli interrogatori quando all’improvviso entrò il comandante che ammanet-tò l’uomo consegnandolo ai poliziotti presenti e si fermò a pensare quanto l’amore prevalga sulla mente degli esseri umani.

  • Saretta98 scrive:

    La magia di Dublino
    La luce mi impediva di vedere le persone e gli oggetti che mi passavano davanti con nitidezza e quindi dovetti fermarmi.
    Mi sedetti su una panchina il cui schienale creava un leggero fastidio provocando così l’immediato prurito che poteva essere colmato solo con l’aiuto di un oggetto lungo perchè si trovava nell’angolo basso della schiena dove le braccia non potevano arrivare .
    In preda al prurito mi accorsi di come le cose cambiano notevolmente e il luogo in cui sei cresciuto ed hai vissuto cambia con il tempo ad una velocità tale che fai in tempo ad invecchiare da un giorno all’altro.
    Ero seduto davanti all’ago del millennio,una costruzione alta 125 metri che illustrava il design del 2000,un design che metteva al primo posto l’ordine e l’indifferenza.
    La schiena iniziava a smettere di prudere ma in quel momento la mia testa era assolta in altri pensieri,pensieri più profondi di grattarsi,pensieri che solo un uomo che si trova davanti ad un luogo che non conosce veramente può fare.
    Pensai che era giunto il momento di iniziare a conoscere la mia città ed non andare dal lavoro a casa come se avessi un percorso predefinito ,perchè la vita è come quell’ago che avevo davanti, può essere lunga e al centro di tutti per essere vista.
    Mi guardai intorno come alla ricerca di un qualcosa che colmasse il mio vuoto e trovai Joyce.
    Joyce colui che riempì la mia infanzia, era lì con il suo bastone in mano in una posa da passeggio con le scarpe ben allacciate e il sorriso stampato in faccia.
    Un signore all’apparenza vecchio e stanco ma che aveva la voglia di scrivere nella mano e nei suoi libri si capisce cosa vuol dire amare la scrittura, si capisce come un uomo può essere un grande uomo e si capisce che non tutti sono super uomini ma anche quello meno conosciuto può avere una vita faticosa con tutto il peso dei pensieri sulle spalle.
    Joyce dove nella statua viene raffigurato con la testa verso l’alto come segno di superiorità perchè solo un uomo come lui poteva scrivere seicento pagine su un giorno, per non parlare dei suo flussi di coscienza.mi ricordo che a scuola dovetti imparare a memoria il significato perchè all’epoca ero un birbantello.
    Ma che ragazzo a quell’età non è un pò birbantello.
    Chiusi gli occhi e mi misi a pensare come avrei vissuto se avessi scritto io l’Ulisse o i Dubliners, sicuramente non sarei seduto su questa panchina ad osservare il mondo che mi sono perso per quaranta anni.
    Passarono davanti a me proprio in quel momento,nel preciso momento n cui aprii gli occhi due gruppi indistinti di ragazze.
    Il primo gruppo mi incuriosiva assai perchè erano all’apparenza tutte uguali, con la divisa a righe e i gonnelloni lunghi che non facevano intravedere le gambe ma il loro viso parlava da solo.
    Una in particolare mi colpiva, perchè pareva un enigma che volesse essere risolto, i calzettoni verdi e il gonnellone erano al quanto ordinari ma le sue orecchie non rispecchiavano il suo modo di vestirsi.
    Aveva un orecchino in ogni spazio dove si potesse bucare un orecchio e gli orecchini erano piercing al quanto originali.
    Uno in particolare era a forma di serpente con due occhi neri come il carbone e la lingua biforcuta rossa , sembrava ti volesse mordere, tutto ciò veniva scoperto a ogni folata di vento perchè lei con gesti calmi e seducenti lo copriva con i suoi capelli marroni lunghi e lisci.
    Quella ragazza guardava costantemente un gruppo di ragazzi che la precedevano.
    Dovetti alzarmi per vedere chi fosse quel gruppo di ragazzi che poteva incuriosire una ragazza come quella, ma ne valse la pena perchè riuscii a risolvere l’enigma.
    Il gruppo di ragazzi era molto particolare,uno poteva essere considerato il più stravagante per via del suo aspetto.
    Poteva essere descritto dalla punta dei capelli alla punta dell’alluce ma la cosa che mi colpiva di più erano i suoi capelli.
    Una massa indistinta di riccioli blu,che si muovevano ad ogni mossa del cranio che il ragazzo compiva.
    Non solo erano tanti e blu ma sembravano voler avere anche loro un posto nel mondo e sulla testa di quel ragazzo il posto lo avevano trovato.
    Riuscii a quel punto a snodare il puzzle che la ragazza si era creata in testa.
    I dublinesi una massa uniforme che dopo il suono della campanella scolastica voleva venire fuori e differenziarsi, è questo che voleva fare la ragazza.
    Decisi di seguirla per vedere dove mi avrebbe portata.
    Affrettai il passo per non perderla di vista, una cosa fattibile perchè mi trovavo in O’connol street, la via dello shopping dove si trovavano i negozi meno cari di Dublino: Carroll’s e Penny’s.
    Carroll’s il negozio verde dove si può comprare ogni souvenir anche a pochi soldi per far felice la famiglia e il portafoglio, mentre Penny’s è più un grande magazzino dove puoi far contenta te stessa comprando maglie a tre euro.
    Mentre la mia mente si perdeva nello shopping dublinese il mio sguardo non perdeva di vista la ragazza.
    La ragazza che velocizzava sempre di più il passo, forse credeva di essere seguita, ma io non la mollavo ma non avevo neanche nessuna intenzione di doverle dare delle spiegazioni anche perchè in quel momento la mia testa era impegnata in altre cose.
    Passammo sopra un ponte famoso come il ponte del mezzo centesimo.
    Mi ricordo benissimo la leggenda come se fosse ieri invece sono passati ben trenta anni.
    “C’erano due uomini e per attraversare il ponte si doveva pagare mezzo centesimo, i due uomini decisero di andare uno in braccio all’altro così che l’importo sarebbe stato per uno solo. Attraversato il ponte dettero il mezzo centesimo che il “proprietario” si aspettava.”
    Mi ricordo quando me la raccontò mio padre e vorrei un giorno raccontarla a i miei figli se un giorno li avrò.
    Non vidi più la ragazza,il caos regnava e io fui travolto dalla massa che mi portò in Temple Bar.
    Temple Bar il quartiere dove gli artisti di strada provano a strimpellare qualche nota rock con successo creando così un’atmosfera gioiosa divertente anche per le persone che la parola divertente non sanno cosa sia.
    Temple Bar è caratterizzato da pub, luoghi accoglienti dove la gente si trova per stare insieme e per passare un pomeriggio perfetto: amici, birra e partita.
    Il pub principale è Temple Bar che da il nome al posto.
    All’interno si possono osservare scambi di luci tra la vicinanza al bancone o la lontananza.
    Infatti sul bancone la luce risplende per illuminare i tanti prodotti che il pub può offrire incuriosendo così anche una persona più astemia ad un goccino.
    Le luci e l’atmosfera danno un senso piacevole alla vita e accogliente.
    Rividi la ragazza uscire da un negozio tatoo che si trova davanti al Hard rock caffè che al contrario di Penny’s non vende le maglie a tre euro.
    Volevo sapere se si era fatta fare un tatuaggio, volevo sapere se aveva il permesso dei genitori, volevo sgridarla come se fosse stata mia figlia.
    Arrivammo dopo cinque minuti di strada dove tenni occupata la mia mente contando i numeri da uno a cento per non distrarre la vista che aveva il compito di sorvegliare la ragazza e di comandare alle gambe di seguirla.
    Finì tutto all’improvviso, non ebbi neanche il tempo di salutarla , di presentarmi e di dirle che l’ammiravo per quello che era, lei mi abbandonò chiudendomi la porta in faccia.
    Entrò in una casa dalla porta blu, una casa georgiana a cui i turisti scattano molte foto per far ingelosire gli amici facendo vedere che erano stati a Dublino.
    Ma per me quella non era soltanto una casa con il camino, con la porta di un colore accesso, come il viola, il fucsia o il blu, era la porta che divideva me ed una futura amica.
    Da quel momento in poi la mia vita era uguale a poche ore fa quando ero seduto sulla panchina e pensavo a quanto la mia vita non avesse mai avuto uno svago, decisi che quelle case a mattonelle marroncine non avrebbero mai avuto uno spazio nella mia mente , nella sezione ricordi.
    Così canticchiando qualche nota sentita in Temple Bar girovagai per la città guardando ma senza fare più caso a quello che vedevo,come ad esempio Sweny’s farmacy, una libreria dove da piccolo mio padre mi potava a fare i reading, delle letture di libri con un gruppo di persone che leggeva ad alta voce i libri di Joyce o Oscar Wilde.
    Camminai, ed intanto la mia mentre vagava su un altro pianeta, un pianeta dove la felicità era oscurata da qualcosa di maligno.
    Arrivai fino alla statua di Oscar Wilde e fu lì che la vidi.
    Stavo osservando la statua colorata di Oscar Wilde con il volto diviso a metà una parte felice e una triste così creando un ghigno che rispecchiava il suo modo satiro di scrivere.
    Decisi di avvicinarmi ad osservare meglio il paio di scarpe creata con una certa precisione che raffiguravano anche il modo in cui se le allacciava lui.
    Mi misi di fianco a lui per imitare la sua posa ed ecco una freccia arrivare diritta al cuore.
    Era un donnino piccolo ma che conteneva tanta bellezza .A partire dai suoi occhi verdi color prato,colore dell’Irlanda che le illuminava quel suo visino dolce. Gli occhi verdi come il giorno di San Patrick un giorno tradizionale ma dove di tradizionale non c’è niente ,gioia , allegria, stupore invadono le piazze e sono la medicina migliore per far sì che il cielo torni a splendere.
    Era la mia Caty, la ragazza che mi rubò il cuore a scuola.
    In un secondo la sua comparsa mi illuminò la giornata, decisi di farmi avanti, di salutarla.
    Dovevo muovermi non potevo lasciarmi scappare una donna come lei, dovevo raggiungerla.
    Camminava decisa, muovendo braccia e gambe contemporaneamente, come stesso marciando o peggio ancora scappando da qualcuno.
    Si diresse ad una velocità accelerata nella chiesa di San Patrick e prese posto ad ascoltare la messa pomeridiana.
    Non era tranquilla perché continuava a guardare l’orologio sembrava fosse inseguita da qualcuno: il tempo.
    Mentre osservavo quella figura delimitata da linee decise e ben marcate mi guardavo intorno per capire come San Patrick potesse essere il nostro patrono.
    Perché il patrono della città non aveva il mio nome, perché mio padre non mi chiamò Patrick, almeno allora mi sentirei relativamente orgoglioso.
    Chiesa è anche simbolo di morti, persone che lasciano la Terra per raggiungere posti migliori e il monumento che ho notato all’ingresso è il monumento di Boyle ,Conte di Cork,nel 1632 in memoria della sua seconda moglie.
    Capii che l’amore veniva espresso anche con le tombe e se lei fosse morta prima che io le avessi parlato le avrei messo l’ultima rosa sulla sua tomba ed l’avrei raggiunta presto.
    Sembravo un uomo stressato perché continuavo a muovermi creando un ingranaggio complesso che era delimitato dal movimento di guardarla e che terminava con il movimento di guardare l’orologio, non sapevo perché lo stessi facendo, lo facevo è basta.
    La messa si concluse con un amen che mi riportò nel mondo reale,mi alzai di scatto e mi precipitai all’uscita dove vidi una sagoma attraente schizzare via.
    Corsi, un’ azione che compio solo in momenti particolari della mia vita,la raggiunsi ma tenni la distanza di sicurezza per no farmi vedere.
    Ormai camminavo come se fossi un cagnolino e non badavo al paesaggio che mutava costantemente ad ogni mio passo, ma grazie ad una folata di vento riuscii a voltarmi ed a vedere il Trinity college e pochi secondi dopo i ricordi raffiorarono, ma feci una selezione e scelsi quelli più importanti per non distrarre la mente dal suo compito principale: Lei.
    Lasciai passare la mia immagine di quando mi trovavo fuori in quel giardino spazioso e dovevo studiare per passare l’ultimo esame per far sì di trovarmi l’ultimo giorno nel gruppo di persone che lanciavano il capello in aria.
    Mi ricordo quell’enorme biblioteca che teneva in ordine alfabetico tutti i volumi che c’erano e mi ricordo la precisione con cui fu scritto Il Book of Kells , i quattro vangeli rappresentati in immagini.
    A quel punto mi pareva che non avesse una meta e che girasse a zonzo proprio come me, ma dubitavo perché in quella testolina qualcosa stava tramando.
    Passammo velocissimi davanti a Dublinia,una mostra che illustra il popolo che viveva prima nel territorio in cui adesso sorge Dublino: i Vichinghi.
    Stavo per perdere le speranze, i piedi gridavano vendetta ma tutto finì pochi minuti dopo arrivati alla Guinnes.
    Una cosa mio padre mi continuava a dire come se fosse una medicina prima di andare a letto:”Una cosa devi sapere, gli ingredienti della birra sono: orzo,luppolo,acqua ,lievito e Arthur.”
    Arrivati lì tutta la magia svanì e mi ritrovai in una parte della città di cui non conoscevo l’esistenza.
    Lei non era la mia Cathy, come avevo potuto sbagliare.

    P.s Prof. scusi potrebbe cancellare il testo precedente perchè è stato inviato prima del previsto.

  • Saretta98 scrive:

    La luce mi impediva di vedere le persone e gli oggetti che mi passavano davanti con nitidezza e quindi dovetti fermarmi.
    Mi sedetti su una panchina il cui schienale creava un leggero fastidio provocando così l’immediato prurito che poteva essere colmato solo con l’aiuto di un oggetto lungo perchè si trovava nell’angolo basso della schiena dove le braccia non potevano arrivare .
    In preda al prurito mi accorsi di come le cose cambiano notevolmente e il luogo in cui sei cresciuto ed hai vissuto cambia con il tempo ad una velocità tale che fai in tempo ad invecchiare da un giorno all’altro.
    Ero seduto davanti all’ago del millennio,una costruzione alta 125 metri che illustrava il design del 2000,un design che metteva al primo posto l’ordine e l’indifferenza.
    La schiena iniziava a smettere di prudere ma in quel momento la mia testa era assolta in altri pensieri,pensieri più profondi di grattarsi,pensieri che solo un uomo che si trova davanti ad un luogo che non conosce veramente può fare.
    Pensai che era giunto il momento di iniziare a conoscere la mia città ed non andare dal lavoro a casa come se avessi un percorso predefinito ,perchè la vita è come quell’ago che avevo davanti, può essere lunga e al centro di tutti per essere vista.
    Mi guardai intorno come alla ricerca di un qualcosa che colmasse il mio vuoto e trovai Joyce.
    Joyce colui che riempì la mia infanzia, era lì con il suo bastone in mano in una posa da passeggio con le scarpe ben allacciate e il sorriso stampato in faccia.
    Un signore all’apparenza vecchio e stanco ma che aveva la voglia di scrivere nella mano e nei suoi libri si capisce cosa vuol dire amare la scrittura, si capisce come un uomo può essere un grande uomo e si capisce che non tutti sono super uomini ma anche quello meno conosciuto può avere una vita faticosa con tutto il peso dei pensieri sulle spalle.
    Joyce dove nella statua viene raffigurato con la testa verso l’alto come segno di superiorità perchè solo un uomo come lui poteva scrivere seicento pagine su un giorno, per non parlare dei suo flussi di coscienza, mi ricordo che a scuola dovetti imparare a memoria il significato perchè all’epoca ero un birbantello.
    Ma che ragazzo a quell’età non è un pò birbantello.
    Chiusi gli occhi e mi misi a pensare s come avrei vissuto se avrei scritto io l’Ulisse o i Dubliners, sicuramente non sarei seduto su questa panchina ad osservare il mondo che mi sono perso per quaranta anni.
    Passarono davanti a me proprio in quel momento,nel preciso momento n cui aprii gli occhi due gruppi indistinti di ragazze.
    Il primo gruppo mi incuriosiva assai perchè erano all’apparenza tutte uguali, con la divisa a righe e i gonnelloni lunghi che non facevano intravedere le gambe ma il loro viso parlava da solo.
    Una in particolare mi colpiva, perchè pareva in enigma che volesse essere risolto, i calzettoni verdi e il gonnellone erano al quanto ordinari ma le sue orecchie non rispecchiavano il suo modo di vestirsi.
    Aveva un orecchino in ogni spazio dove si potesse bucare un orecchio e gli orecchini erano piercing al quanto originali.
    Uno in particolare era a forma di serpente con due occhi neri come il carbone e la lingua biforcuta rossa , sembrava ti volesse mordere, tutto ciò veniva scoperto a ogni folata di vento perchè lei con gesti calmi e seducenti lo copriva con i suoi capelli marroni lunghi lisci.
    Quella ragazza guardava costantemente un gruppo di ragazzi che la precedevano.
    Dovetti alzarmi per vedere chi fosse quel gruppo di ragazzi che potevano incuriosire una ragazza come quella, ma ne valse la pena perchè riuscii a risolvere l’enigma.
    Il gruppo di ragazzi era molto particolare,uno poteva essere considerato il più stravagante per via del suo aspetto.
    Poteva essere descritto dalla punta dei capelli alla punta dell’alluce ma la cosa che mi colpiva di più erano i suoi capelli.
    Una massa indistinta di riccioli blu,che si muovevano ad ogni mossa del cranio che il ragazzo compiva.
    Non solo erano tanti e blu ma sembravano voler avere anche loro un posto nel mondo e sulla testa di quel ragazzo il posto lo avevano trovato.
    Riuscii a quel punto a snodare il puzzle che la ragazza si era creata in testa.
    I dublinesi una massa uniforme che dopo il suono della campanella scolastica voleva venire fuori e differenziarsi, è questo che voleva fare la ragazza.
    Decisi di seguirla per vedere dove mi avrebbe portata.
    Affrettai il passo per non perderla di vista, una cosa fattibile perchè mi trovavo in O’connol street, la via dello shopping dove si trovavano i negozi meno cari di Dublino: Carroll’s e Penny’s.
    Carroll’s il negozio verde dove si può comprare ogni souvenir anche a pochi soldi per far felice la famiglia e il portafoglio, mentre Penny’s è più un grande magazzino dove puoi far contenta te stessa comprando maglie a tre euro.
    Mentre la mia mente si perdeva nello shopping dublinese il mio sguardo non perdeva di vista la ragazza.
    La ragazza che velocizzava sempre di più il passo, forse credeva di essere seguita, ma io non la mollavo ma non avevo neanche nessuna intenzione di doverle dare delle spiegazioni anche perchè in quel momento la mia testa era impegnata in altre cose.
    Passammo sopra un ponte famoso come il ponte del mezzo centesimo.
    Mi ricordo benissimo la leggenda come se fosse ieri invece sono passati ben trenta anni.
    “C’erano de uomini e per attraversare il ponte si doveva pagare mezzo centesimo, i due uomini decisero di andare uno in bracci all’altro così che l’importo sarebbe stato per uno solo. Attraversato il ponte dettero il mezzo centesimo che il “proprietario” si meritava.”
    Mi ricordo quando me la raccontò mio padre e vorrei un giorno raccontarla a i miei figli se un giorno li avrò.
    Non vidi più la ragazza,il caos regnava e io fui travolto dalla massa che mi porto in Temple Bar.
    Temple Bar il quartiere dove gli artisti di strada provano a strimpellare qualche nota rock con successo creando così un’atmosfera gioiosa divertente anche per le persone che la parola divertente non sappiano cosa sia.
    Temple Bar è caratterizzato da pub, luoghi accoglienti dove la gente si trova per stare insieme e per passare un pomeriggio perfetto: amici, birra e partita.
    Il pub principale è Temple Bar che da il nome al posto.
    All’interno si possono osservare scambi di luci tra la vicinanza al bancone o la lontananza.
    Infatti sul bancone la luce risplende per illuminare i tanti prodotti che il pub può offrire incuriosendo così anche una persona più astemia ad un goccino.
    Le luci e l’atmosfera danno un senso piacevole alla vita e accogliente.
    Rividi la ragazza uscire da u negozio tatoo che si trova davanti al Hard rock caffè che al contrario di Penny’s non vende le maglie a tre euro.
    Volevo sapere se si era fatta fare un tatuaggio, volevo sapere se aveva il permesso dei genitori, volevo sgridarla come se fosse stata mia figlia.
    Arrivammo dopo cinque minuti di strada dove tenni occupata la mia mente contando i numeri da uno a cento per non distrarre la vista che aveva il compito di sorvegliare la ragazza e di comandare alle gambe di seguirla.
    Finì tutto all’improvviso, non ebbi neanche il tempo di salutarla , di presentarmi e di dirle che l’ammiravo per quello che era, lei mi abbandonò chiudendomi la porta in faccia.
    Entrò in una casa dalla porta blu, una casa georgiana a cui i turisti scattano molte foto per far ingelosire gli amici facendo vedere che erano stati a Dublino.
    Ma per me quella non era soltanto una casa con il camino, con la porta di un colore accesso, come il viola, il fucsia o il blu, era la porta che divideva me ed una futura amica.
    Da quel momento in poi la mia vita era uguale a poche ore fa quando ero seduto sulla panchina e pensavo a quanto la mia vita non avesse mai avuto uno svago, decisi che quelle case a mattonelle marroncine non avrebbero mai avuto uno spazio nella mia mente , nella sezione ricordi.
    Così canticchiando qualche nota sentita in Temple Bar girovagai per la città guardando ma senza fare più caso a quello che vedevo,come ad esempio Sweny’s farmacy, una libreria dove da piccolo mio padre mi potava a fare i reading, delle letture di libri con un gruppo di persone che leggeva ad alta voce i libri di Joyce o Oscar Wilde.
    Camminai, ed intanto la mia mentre la mia mente vagava su un altro pianeta, un pianeta dove la felicità era oscurata da qualcosa di maligno.
    Arrivai fino alla statua di Oscar Wilde e fu lì che la vidi.
    Stavo osservando la statua colorata di Oscar Wilde con il volto diviso a metà una parte felice e una triste così creando un ghigno che rispecchiava il suo modo satiro di scrivere.
    Decisi di avvicinarmi ad osservare meglio il paio di scarpe creata con una certa precisione che raffiguravano anche il modo in cui se le allacciava lui.
    Mi misi di fianco a lui per imitare la sua posa ed ecco una freccia arrivare diritta al cuore.
    Era un donnino piccolo ma che conteneva tanta bellezza .A partire dai suoi occhi verdi color prato,colore dell’Irlanda che illuminava nei suoi occhi illuminandole quel visino dolce. Gli occhi verdi come il giorno di San Patrick un giorno tradizionale ma dove di tradizionale non c’è niente ,gioia , allegria, stupore invadono le piazze e sono la medicina migliore per far sì che il cielo torni a splendere.
    In un secondo la sua comparsa mi illuminò la giornata, decisi di farmi avanti, di salutarla.
    Dovevo muovermi non potevo lasciarmi scappare una donna come lei, dovevo raggiungerla.
    Camminava decisa, muovendo braccia e gambe contemporaneamente, come stesso marciando o peggio ancora scappando da qualcuno.
    Si diresse ad una velocità accelerata nella chiesa di San Patrick e preso pesto ad ascoltare la messa pomeridiana.
    Non era tranquilla perché continuava a guardare l’orologio sembrava fosse inseguita da qualcuno: il tempo.
    Mentre osservavo quella figura delimitata da linee decise e ben marcate mi guardavo intorno per capire come San Patrick potesse essere il nostro patrono.
    Perché il patrono della città non aveva il mio nome, perché mio padre non mi chiamò Patrick, almeno allora mi sentirei relativamente orgoglioso.
    Chiesa è anche simbolo di morti, persone che lasciano la Terra per raggiungere posti migliori e il monumento che ho notato all’ingresso è il monumento di Boyle ,Conte di Cork,nel 1632 in memoria della sua seconda moglie.
    Capii che l’amore veniva espresso anche con le tombe e se lei fosse morta prima che io le avessi parlato mi avrei porto l’ultima rosa sulla sua bara ed l’avrei raggiunta presto.
    Sembravo un uomo stressato perché continuavo a muovermi creando un ingranaggio complesso che era delimitato dal movimento di guardarla e che terminava con il movimento di guardare l’orologio, non sapevo perché lo stessi facendo, lo facevo è basta.
    La messa si concluse con un amen che mi riportò nel mondo reale,mi alzai di scatto e mi precipitai all’uscita dove vidi una sagoma attraente schizzare via.,
    Corsi, un azione che compio solo in momenti particolari della mia vita,la raggiunsi ma tenni la distanza di sicurezza per no farmi vedere.
    Ormai camminavo come se fossi un cagnolino e non badavo al paesaggio che mutava costantemente ad ogni mio passo, grazie ad una folata di vento riuscii a voltarmi ed a vedere il Trinity college e pochi secondi dopo i ricordi raffiorarono, ma feci una selezione e scelsi quelli più importanti per non distrarre la mente dal suo compito principale: Lei.
    Lascai passare la mia immagine di quando mi trovavo fuori in quel giardino spazioso e dovevo studiare per passare l’ultimo esame per far sì di trovarmi l’ultimo giorno nel gruppo di persone che lanciavano il capello in aria.
    Mi ricordo quell’enorme biblioteca che teneva in ordine alfabetico tutti i volumi che c’erano e mi ricordo la precisione con cui fu scritto Il Book of Kells , i quattro vangeli rappresentati in immagini.
    A quel punto mi pareva che non avesse una meta e che girasse a zonzo proprio come me, ma dubitavo perché in quella testolina qualcosa veniva tramato.
    Passammo velocissimi davanti a Dublinia,una mostra che illustra il popolo che viveva prima nel territorio in cui adesso sorge Dublino: i Vichinghi.
    Stavo per perdere le speranze, i piedi gridavano vendetta ma tutto finì pochi minuti dopo arrivati alla Guinnes.
    Una cosa mio padre mi continuava a dire come se fosse una medicina prima di andare a letto:”Una cosa devi sapere, gli ingredienti della birra sono: orzo,luppolo,acqua ,lievito e Arthur.”
    Arrivati lì tutta la magia svanì e mi ritrovai in una parte della città che non avevo idea esistesse.
    Lei non era la mia Cathy, come avevo potuto sbagliare.

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